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DAL CONFLITTO ALLA NEGOZIAZIONE

La negoziazione non è conflitto, cioè battere l’avversario o distruggere l’avversario o evitare il conflitto o ottenere superiorità o difendersi insieme alla realtà.
Il conflitto nasce se esiste una relazione tra due o più persone che hanno interessi interdipendenti o si vede l’interesse della controparte come un ostacolo per il raggiungimento dei propri obiettivi.

Soluzioni per risolvere il conflitto:

·Rifiutare di prenderlo in considerazione = negare il conflitto;
·Minimizzare le divergenze evitando di risolvere = eludere il conflitto;
·Far ricorso al potere/autorità per influenzare la controparte = far rinunciare al conflitto;
·Far rinunciare ad ogni persona a parte dei propri interessi = giungere ad un compromesso;
·Analizzare i motivi, ridefinire il problema, ricercare soluzioni soddisfacenti per ciascuna parte = confrontarsi ed integrarsi.

La negoziazione è il processo che porta ad una decisione comune fra due o più parti in merito ad un oggetto dichiarato, attraverso una serie di avvicinamenti.

Chi è il negoziatore?

In un contesto professionale, un buon negoziatore è colui che ragiona con la testa dell’interlocutore, pur non perdendo mai di vista i propri veri interessi; è colui che ottiene il massimo dalla situazione negoziale per sé e per l’ interlocutore (win-win).

I fattori che influenzano la negoziazione sono: la posizione dei soggetti in gioco, le strategie negoziali (obiettivi), l’importanza assegnata all’oggetto, il sistema dei vincoli, l’uso di tecniche o strumenti.

La posizione dei soggetti può essere paritetica e paritaria (uguale dignità e uguali obiettivi e leve negoziali) o paritetica e non paritaria (uguale dignità, ma diversi obiettivi e leve negoziali) o non paritetica e non paritaria (non esiste negoziazione).

Ognuno “filtra” i messaggi dall’esterno secondo la propria cultura e la propria storia personale e il filtro genera una “precomprensione” (pregiudizio, presupposto, interpretazione) del messaggio che può compromettere l’efficacia comunicativa, perciò non si può non avere precomprensioni!

Filtri percettivi e precomprensioni:

·Elementi personali: affidabilità, simpatia, comunicatività, valutazioni reciproche;
·Elementi di interazione: formalità, relazione tra gli interlocutori;
·Elementi organizzativi: posizione, grado, anzianità;
·Elementi culturali: provenienza, esperienza formazione pregressa.

La finestra percettiva:

MESSAGGIO PERCEPITO » FILTRI PERCETTIVI EMITTENTE » MESSAGGIO EMESSO » FILTRI PERCETTIVI RICEVENTE » MESSAGGIO RECEPITO.

Per non lasciarsi fuorviare dal filtro percettivo occorre consapevolezza di essere portatori di filtri percettivi e di vedere solo una parte della realtà, consapevolezza della natura dei filtri (quali sono? Che cosa lasciano passare? Che cosa escludono?) e sapere che i nostri filtri non sono necessariamente gli stessi del nostro interlocutore (quali sono i suoi? Che cosa escludono?).

Per una negoziazione efficace è necessario:

·Stabilire i propri propri obiettivi, vincoli, preferenze, leve, strategie;
·Ipotizzare obiettivi, vincoli, preferenze, leve, strategie dell’interlocutore interlocutore;
·Impostare la strategia prima del momento negoziale (Qual è il minimo che posso accettare e il massimo che posso concedere? Qual è il massimo che il mio interlocutore può concedere e il minimo cui non può rinunciare? Che cosa considero un risultato vincente? Che alternative posso prefigurarmi?).

Per condurre una trattativa efficace bisogna:

·Separare la persona dal problema (è il problema che va “attaccato” e non la controparte);
·Concentrarsi sugli obiettivi e non sulle posizioni di partenza;
·Sforzarsi di ampliare le scelte da offrire, ricercando il vantaggio per entrambe le parti sulla base di un comune interesse;
·Ricercare criteri oggettivi di valutazione dell’interesse;
·Utilizzare i propri sentimenti come “spie”, senza lasciarsene usare.

I rischi insiti nella negoziazione sono i vincoli imperativi e le preferenze facoltative.

I vincoli sono requisiti da soddisfare tassativamente e interamente, delineano il “minimo” indispensabile, sono utili per preselezionare le soluzioni, concentrandosi su quelle fattibili e sono espressi in termini misurabili, senza ambiguità.

Le preferenze si possono soddisfare anche parzialmente, esprimono l’ambito del “migliorabile”, sono utili per valutare le soluzioni fattibili e sono misurabili da chi decide senza limiti.

Tornando al discorso del conflitto, il termine conflitto deriva dal latino: Cum fligo.

Il suffisso cum indica una dimensione comune, grippale, di coesistenza e compartecipazione, mentre il verbo fligo, fligere significa urtare, percuotere, atterrare.

Le fasi di un conflitto sono:

·Precompetizione, in questo momento le parti hanno una relazione di cooperazione o sono relativamente indipendenti;
·Competizione, il sistema si modifica in modo che le parti entrano in relazione competitiva;
·Conflitto, le parti si attaccano l’un l’altra;
·Crisi, è caratterizzato da un livello nuovo, intenso e diverso di interazione;
·Risoluzione-Rivoluzione, può essere immediata o una de-escalation graduale, c’è un ritorno alla cooperazione, o almeno alla competizione.

Il conflitto è una situazione che presenta divergenza tra due o più persone, relativamente a posizioni, bisogni ed interessi apparentemente inconciliabili e per superarlo occorre accettarlo con serenità, in quanto è inevitabile ed essere in disaccordo è naturale, inoltre può essere un momento di crescita e non va considerato una rovina.

All’interno di un gruppo di lavoro la dimensione conflittuale può manifestarsi essenzialmente attraverso due tipologie: conflitto di contenuto e conflitto di relazione.

Il primo tipo ha una valenza positiva, poiché alimenta il confronto e lo scambio tra i partecipanti, mentre il secondo è del tutto svincolato dal contenuto, è assimilabile ad un gioco di potere e per questo possiede una connotazione assolutamente negativa, affinché non si traduca in elemento distruttivo, va trasformato in un conflitto di contenuto, uscendo dalla logica del “gioco di potere”.

Secondo Rahim (1995) esistono tre tipologie di conflitto nelle organizzazioni: intrapersonale, intragruppo e intergruppi.

1) Conflitto fra obiettivi personali e obiettivi di ruolo.

Forma di conflitto propriamente individuale, appare in occasione della non corrispondenza tra:

·competenze attese, ovvero compiti assegnati dall’organizzazione all’individuo;
·competenze individuali, intese come insieme di interessi, valori e capacità.

Le cause sono prevalentemente di tipo strutturale:

·Incompatibilità persona/compito;
·Incompatibilità tra bisogni della persona e obiettivi organizzativi;
·Richieste eccessive da parte dell’organizzazione rispetto alle reali capacità della persona.

2) Conflitto fra obiettivi del proprio ruolo e quelli di altri ruoli.

Forma di conflitto che si verifica tra membri di uno stesso gruppo.

Le cause sono legate a:

·Stili di leadership;
·Struttura del compito difficile e/o complessa;
·Grandi dimensioni dei gruppi di lavoro;
·Composizione eterogenea dei gruppi (valori, atteggiamenti, interessi, stili interpersonali);
·Risultati negativi in ambienti ad elevata competitività interna.

3) Conflitto di interessi fra differenti unità organizzative.
Forma di conflitto che emerge tra gruppi di lavoro diversi, quali squadre, reparti, funzioni, di una stessa organizzazione.

Le cause dipendono molto da:

·Forte differenziazione tra sottosistemi di un’organizzazione,
·Risorse limitate.

Le strategie vincenti per superare un conflitto sono:

·individuazione della tipologia del conflitto, ma non la comprensione di tutte le cause che lo hanno prodotto e l’assunzione di tutte le problematiche personali, pedagogiche ed organizzative ad esse correlate;

·isolare in maniera sistematica le questioni per cui sono in contenzioso;
·sviluppare opzioni;
·valutare alternative;
·giungere ad un’intesa mutuamente accettabile;
·raggiungere un accordo la cui percezione da parte di entrambi sia positiva.

Fonte: www.spheragroup.it

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