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Monsanto: /Storia di un impero

La storia di questa azienda
comincia nel lontano 1901, a St.Louis, nel Missouri, quando il farmacista
appena trentenne John Francis Queeny 
la fondò  facendo esclusivamente
uso dei propri risparmi. Dopo un inizio come produttrice di
saccarina si ritrova durante la grande crisi del ’29 a gestire in assoluta
esclusiva i policlorobifenili, detti
PBC, classe di composti organici inerti e resistenti al calore ma di elevata
tossicità per l’essere umano. Tuttavia, nonostante si conoscesse già dagli anni
trenta il pericolo che questi composti potevano arrecare all’uomo, nei salotti
del potere si preferì assecondare questo tipo di produzione a causa degli utili
se non indispensabili benefici che essi portavano all’industria elettrica
allora in grande espansione.

Dopo questo salto di
qualità non passò molto tempo che la Monsanto
diventò una delle industrie leader del settore chimico americano, e già negli
anni Quaranta aveva cominciato la produzione di diossine e la
commercializzazione dell’erbicida noto come 245T, nome che gli deriva dal
numero di atomi di cloro del famigerato composto. In breve tempo anche il
mercato della diserbazione agricola fu monopolizzato nonostante tutti gli studi
avessero dimostrato la minaccia dei PBC e in particolar modo della diossina,
nell’uomo. Come nel 1930 gli interessi dell’industria elettrica erano prevalsi
su quelli della salute dei cittadini, negli anni ’40 e ’50 prevalsero gli
interessi del settore agricolo. In tutti e due i casi la Monsanto fu messa in
grado di agire come meglio credeva senza particolari restrizioni.

Ma è durante la guerra del
Vietnam che il potenziale pericolo che i diserbanti agricoli della
multinazionale americana rappresentavano e che rappresentano tuttora per l’uomo
viene fuori in tutta la sua gravità. Già dal 1968 la Monsanto, durante la
guerra in Vietnam, vende all’esercito americano il tristemente famoso agente orange, un misto di 245T della
Monsanto e del 24D della sua rivale Dow Chemical, che l’esercito americano usò
abbondantemente nelle foreste vietnamite per distruggere la vegetazione e
individuare i vietcong . Scienziati ed opinione pubblica, si mobilitarono per
evitare ulteriormente che continuasse lo spargimento dell’agente orange di cui
si riconobbero gli effetti delle diossine sull’ambiente e sull’uomo.
E’ cancerogeno infatti, e si proverà subito dopo la fine della guerra in
Vietnam, osservando e studiando i danni immunitari e alla riproduzione che fino
ad oggi non hanno finito di fare male ai vietnamiti.

Ma il cavallo di battaglia
dell’azienda arriva negli anni Ottanta quando scopre il glifosato, sostanza
base per molti erbicidi, e soprattutto del tristemente famoso Roundup. Il Roundup è un pesticida
potente e conveniente però, è tossico per l’uomo. Le alterazioni provocate dal
glifosato sono ormai note e documentate. Nonostante tutto il Roundup, che dà
alla Monsanto profitti del 20% annui e che la proietta ai vertici, continua ad
essere venduto. Siamo alla fine degli anni Novanta.

Ed è proprio in questi
anni che la multinazionale cambia pelle, fonda un’altra società di nome Solutia
e vi incorpora chimica e fibre sintetiche. Contemporaneamente, con i proventi
del pesticida investe somme fantascientifiche sulla ricerca nelle biotecnologie
e in particolar modo sulla creazione di semi geneticamente modificati
resistenti al Roundup. Il motto dell’azienda si riassume con “Ogm e Roundup”, inizia
così la strategia che caratterizzerà gli anni a venire.

Già nel 1997 la Monsanto
comincia a vendere semi di mais, soia, e lino transgenici e resistenti al Roundup,
riuscendo ancora una volta a forzare i meccanismi governativi di protezione del
consumatore e invadendo il mercato alimentare americano senza nessuna seria
ricerca scientifica che ne dimostri la totale sicurezza. Ma è nel 1998 che si
intuisce la vera strategia di un azienda che aspira al monopolio mondiale delle
sementi. In quello stesso anno infatti una delle nuove aziende biotech, la
Delata&Pineland, brevetta una tecnica chiamata “sistema di protezione della tecnologia” che permette di rendere
sterile la pianta tramite una modificazione genetica. Il che significa in
parole povere la possibilità di controllare tutta la filiera,  dalla creazione alla distribuzione passando
poi per i prezzi e per le quantità da commercializzare, del mercato alimentare,
influenzando le politiche agricole soprattutto nei paesi più poveri. Il
brevetto si chiama “Terminator”, e
dopo appena due mesi dalla sua uscita la Monsanto ingloba l’azienda che detiene
i diritti.

Inizia l’era della “colonizzazione”, anche se non in maniera
omogenea. Se in Asia, Africa e Sud America e negli stessi Stati Uniti la
commercializzazione di questi prodotti non trova grossi inconvenienti a livello
legislativo, il problema sorge nel vecchio continente dove, a seguito delle
dichiarazioni di Arpad Pusztay,responsabile del progetto di ricerca sulle
patate transgeniche fatto per conto del ministero dell’agricoltura del Regno
Unito,con un budget di due milioni di sterline e trenta ricercatori che vi
lavorarono per due anni, viene bloccato il commercio all’interno dell’Europa.

Le conclusioni furono sconvolgenti.
Nei topi nutriti con patate Ogm in cui era stato inserito il gene della lectina
si osservavano due effetti: il primo era quello di una grande proliferazione di
cellule nello stomaco che può provocare una maggiore propensione al cancro, il
secondo era il riscaldamento del sistema immunitario dello stomaco che in sé non
è bene nè male, però era un fatto compiuto che l’organismo trattava le patate
come corpi estranei. La conclusione fu che non era la lectina che era nociva
all’organismo, perché fu testata con dosi otto volte superiori senza problemi
per i topi, ma la manipolazione genetica in sé che creava uno squilibrio
all’interno della struttura genetica della patata.

Ma nonostante il commercio
degli Ogm veniva bloccato ed è tuttora vietato in Europa, la politica della
Monsanto non è cambiato e non cambia verso i paesi del Terzo mondo e verso le
cosiddette nazioni emergenti come l’India, in cui la multinazionale americana è
il leader indiscusso dei semi Ogm. Tali semi sono pericolosissimi per le altre
semenze naturali poiché in caso di contaminazione sarebbero proprio
quest’ultime a morire lasciando spazio a quelle modificate e più resistenti. Sono
numerosissimi i casi di contaminazione dei raccolti autoctoni che hanno
provocato  in massa la miseria di
contadini in molte parti del mondo, senza contare gli avvelenamenti che provoca
il diserbante Roundup con cui vengono trattati i campi Ogm negli stessi.

 E se dovessimo sentirci sicuri dentro la
nostra cara Europa faremmo meglio a ricrederci. Anche se la maggior parte dei
paesi all’interno del Consiglio Europeo continuano a dirsi contrari a qualsiasi
tipo di Ogm, su come trattare la questione Ogm ogni nazione fa da sé. E anche
se sono state trovate semi contaminati da Ogm praticamente in quasi tutti i
paesi europei non si attua una seria linea di difesa comune europea da questi
prodotti incrementando il rischio di una contaminazione incontrollata.

 Le conseguenze sono gravissime e ad essere a
rischio è soprattutto la biodiversità mondiale e l’autosufficienza alimentare
di intere popolazioni.

Troppo per essere tutto
nelle mani di una sola azienda.

 

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