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La presenza del fuoco nella vita dell’uomo

La leggenda racconta che il fuoco dimorava nella casa degli dei finché un gigante buono, Prométeo, non la rubò per farne dono ai mortali. “Il fuoco genera per distruggere e distrugge per generare”, così il filosofo Eraclito di Efeso descriveva uno degli elementi che insieme all’acqua, alla terra ed all’aria, in parti diverse od uguali, costituivano l’essenza dell’esistente.

 

Anche prima di arrivare ai filosofi naturalisti dell’antica Grecia, padri del pensiero filosofico, il fuoco deve essere stato protagonista dell’esistenza umana. Un fulmine, l’eruzione di un vulcano, un meteorite, deve essere stato comunque un evento catastrofico quello che, per la prima volta, ha fatto conoscere all’uomo, il fuoco. Una massa informe ed incandescente che non permette di avvicinarsi tanto senza esserne ustionati, ma che è piacevole da vegliare perché caldo e luminoso.

 

Alleato contro le tenebre ed il freddo, ma anche temuto ed imprevedibile nemico. L’uomo primitivo ha avuto un atteggiamento di sacrale rispetto per il fuoco, lo ha temuto, amato, apprezzato, lo ha poi catturato e faticosamente generato facendolo scaturire dalla pietra. Ha trovato in lui un alleato nella caccia, utilizzandolo come mezzo per stanare le prede e per creare radure dove la selvaggina avrebbe pascolato cadendo in trappola. Un potente strumento per creare spazi liberi da arbusti, alberi, ed erbacce, rendendoli idonei al pascolo ed alla coltivazione, aprendo così un’altra era. Lo strumento per cuocere e mantenere la carne, ma anche per piegare il ferro.

 

Se l’uomo primitivo ne aveva apprezzato soprattutto gli aspetti positivi è perché la natura aveva tempi di recupero sufficienti, essendo la pressione antropica negli ecosistemi, limitata e sostenibile.

É difficile che esista un complesso forestale naturale che non sia stato interessato, almeno una volta, dal passaggio del fuoco, eccezion fatta per le zone particolarmente umide e per la scarsa vegetazione che ricopre gli affioramenti rocciosi. Il fuoco detiene, inoltre, un indiscutibile valore ecologico, basti pensare che molti biotopi esistono e si mantengono grazie al suo passaggio. Le macchie e le brughiere a calluna, ne sono un esempio, così come i coni serotinici di molte conifere, la cui apertura è legata alle alte temperature, ed ancora le foreste boreali la cui lettiera intrappola gli scarsi elementi nutritivi, rilasciati soltanto dopo un incendio, permettendo una rigogliosa ripresa vegetativa.

 

Aldilà di questi aspetti che costituiscono il frutto di una lunga e continua selezione, che ha portato molte specie a dipendere dall’elemento dal quale un tempo si difendevano, vi sono anche molte realtà in cui gli effetti, diretti o conseguenti, del passaggio del fuoco causano un danno ecologico di difficile od impossibile recupero. É un esempio l’erosione delle pendici che in seguito ad un incendio perdono la stabilità dovuta alla presenza della vegetazione. La crescente sensibilità ecologica, che si registra nei paesi sviluppati, dove disponibilità economica e tempo libero spesso sfociano in una visione dell’ambiente salutistica e ricreativa, impone di affrontare il problema con ogni risorsa disponibile.

L’uomo dell’era moderna, civile e consapevole delle proprie azioni spesso abusa del fuoco. Gli incendi divampano con impressionante frequenza e rapidità, i deserti avanzano, si restringono le foreste ed aumenta la produzione di anidride carbonica.

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