Marge Simpson ha perso la voce. Intervista a Liù Bosisio
Attrice, scrittrice, doppiatrice. Eppure, descriverla con queste tre parole potrebbe essere troppo poco. E potrebbe non bastare neppure il nome. Stiamo parlando di Liù Bosisio, la Pina dei primi due Fantozzi, e, nel caso non lo sapeste, la voce di Marge nel cartone tv “I Simpson”.
Fresca di questi giorni la notizia del suo probabile abbandono della famiglia più gialla del mondo. Ma anziché affidarci al chicchiericcio della rete, chiediamo delucidazioni in merito proprio alla diretta interessata. Sì, perché le abbiamo scambiate due parole con Liù Bosisio e non solo per stare sul pop-pezzo simpsoniano, ma anche per un altro motivo. Per capire che distanza c’è tra un personaggio e la sua voce.
Marge è Marge non solo per il suo vestitino smanicato verde anche in pieno inverno e per i suoi capelli blu ritti sopra il capo, sbeffeggianti qualunque legge gravitazionale, ma anche per la sua voce roca, a dispetto di qualsiasi sigaretta.
E la voce non è poi un tema così frivolo. Se la coscienza identifica se stessa nel sentirsi parlare della voce, Aristotele parla della coscienza come di una voce silenziosa, e se Derrida ha decostruito il pensiero di Husserl proprio smantellando il privilegio della voce e della scrittura fonetica rispetto a tutta la storia dell’occidente, allora probabilmente quel significante sonoro che si diparte dalla bocca dopo la costruzione di un significato, ha una certa centralità.
Ma torniamo a noi, anzi a Liù.
La parola interpretata anima e corpo nella recitazione, scritta nella realtà autorale e pronunciata nel doppiaggio. Come ha vissuto e vive il passaggio tra questi tre mondi? Sono distanti tra loro? Vi è affinità?
Attrice lo sono stata, prima di scegliere altre forme d’arte e di espressione; e ancora sono parte di me le varie tecniche interpretative, l’amore per il teatro, il modo di rileggere la mia esperienza di vita attraverso il personaggio. Scrittrice sono diventata per la necessità di comunicare, confrontarmi con me stessa e procedere verso la comprensione del mondo…Scrivere, poi, mi ha permesso di tendere all’essenziale – liberando la parola, cioè il pensiero, da ogni forma di retorica o ridondanza. Quello di doppiatrice, infine, è un ruolo in cui mi muovo con serenità e disinvoltura, in modo del tutto naturale: ma potrei anche rinunciarvi, e forse in parte lo sto già facendo… Lei mi chiede come io abbia vissuto il passaggio tra questi tre mondi, e credo di averle già risposto, almeno in parte: aggiungerò che sono rimasta fedele a me stessa, alla mia ricerca di onestà e coerenza, al mio desiderio di indagare contenuti e linguaggi. Sono distanti o affini questi mestieri? (Chiamiamoli così, per una volta) L’attore usa la parola, che è dell’autore, come espressione di un’anima: un’anima che vive e palpita di sentimenti reali, da condividere con lo spettatore mediante lo strumento del corpo. Il doppiatore è un attore che offre la voce e l’interpretazione a due entità: all’altro attore, di solito straniero, o inanimato, e all’autore del testo, film o cartone che sia. Attore e doppiatore sono simili, spesso complementari; lo scrittore è diverso, non colgo una somiglianza evidente con i primi due. A meno che non si voglia considerare un aspetto particolare, comune a tutte le arti dell’uomo, quindi anche alla recitazione e alla narrativa: ciò che prevale nelle forme espressive è il “non detto”, perciò è necessario leggere tra le righe, ed ascoltare il silenzio tra una battuta e l’altra. Questo pensiero ci fa comodo in quanto rimanda proprio a Derrida, che lei cita nella domanda seguente.
Parafrasando Derrida, “la voce, – nel fonocentrismo occidentale- , è corpo della parola”. Come riesce un doppiatore a vestire quel corpo?
Nell’attività del doppiatore, ma anche in quella dell’attore cinematografico o televisivo, possiamo scorgere qualche elemento messo in luce dal pensiero moderno (la decostruzione come svelamento , la frantumazione della realtà, quindi dell’individuo, effettuata mediante tecniche sempre più raffinate, ma anche alienanti: basti pensare, per rimanere nel campo dello spettacolo, agli interventi di manipolazione dei corpi e delle immagini, agli effetti speciali che tendono a disorientare, a mascherare la debolezza delle storie). Può accadere che il doppiatore, prestando la voce, non riesca a trasmettere in modo convincente un carattere o una situazione; di solito, però, il bravo doppiatore è anche un bravo psicologo, che sa capire ed esprimere il senso vero della frase recitata da un altro. La voce, così, diventa elemento fisico che riveste il pensiero, dando corpo alla parola.
Ha dato la voce a molti personaggi, da Charlie Brown a Angela Lansbury fino ai Simpson, doppiando addirittura tre personaggi Marge, Patty e Selma. C’è qualcuno di loro che le ha rivelato qualcosa cui prima non sarebbe mai giunta?
Ognuno di loro ha contribuito a rivelarmi a me stessa – per aggiunta o per sottrazione. Doppiando questi personaggi, a volte dovendo garantire anche effetti parodistici, ho respinto modelli di comportamento che non mi erano congeniali, ma ho anche verificato potenzialità a cui non avevo ancora dato credito. Ho guadagnato un maggiore distacco da ciò che è troppo serio ed estremo, ho maturato ironia, un senso critico mai corrosivo, un’inclinazione crescente allo scambio e all’amicizia. Quanti contatti, quante confidenze, quanta conoscenza dell’animo umano mi hanno garantito gli amici, virtuali e non, che si sono affezionati alla mia voce (alle mie voci) e mi hanno fedelmente seguita nel corso degli anni!
Quanta Marge c’è in Liù Bosisio e quanto il contrario?
Questa è una domanda solo apparentemente più semplice e discorsiva delle altre. Potrei cavarmela con un aforisma generico, asserendo che tutti i caratteri partecipano di elementi comuni; oppure, restando in campo teatrale, e questa volta parafrasando il celebre Terenzio nel suo Punitore di se stesso, potrei dire che non ritengo a me estraneo nulla di quanto sia attinente all’uomo – essendo io, appunto, un puro e semplice essere umano. Nel dettaglio, tuttavia, preciserò che mi sento simile a Marge, persona di innegabile buon senso, almeno quando prende la parola in difesa dei più deboli, degli animali, della natura, dei sani principi. Mi piace che viva nel gruppo senza perdere la sua individualità, perché condivido in modo assoluto questo atteggiamento. Forse non sono propensa a giustificare le sue paure, i suoi strilli, gli eccessi emozionali a cui ha dato libero sfogo in qualche episodio. Comunque Marge mi è simpatica, non mi è dispiaciuto fare la sua conoscenza.
Volendo essere di ampie vedute potremmo dire che Marge Simpson è una ribelle…in termini religiosi. Pur essendo cattolica ha una filosofia morale slegata dai dettami della religione. Tale capacità permette a Springfield due cose: di equilibrarsi identificando in Marge il “giusto mezzo” (Aristotele docet), e di dimostrare la validità e la possibilità tangibile di operare secondo una morale laica. In Italia oggi, crede che ci sarebbero bisogno di più Marge Simpson? O di cosa?
Devo ammettere che riflessioni così impegnative, riguardanti la fede, l’etica e il rapporto tra gli individui e il contesto sociale in cui vivono, mi imbarazzano alquanto, soprattutto se a motivarle vengono chiamati in causa i signori Simpson, e la nostra Marge in particolare. Proverò a rispondere con leggerezza, nella speranza che sia questo il tono giusto, cioè corrispondente a quel giusto mezzo proclamato da Aristotele come conveniente e virtuoso. E’ virtuosa Marge? E’ consapevole, per dirla con il sommo filosofo – il Maestro di color che sanno -, che il coraggio è la via di mezzo tra viltà e temerarietà? O che la mansuetudine (comportamento che lei a volte si impegna a praticare, con esiti alterni) si colloca in perfetto equilibrio tra irascibilità e indolenza? Ritengo di sì. Lei “crede” ma non è praticante: è una sua scelta, alla piccola città in cui vive questo non dispiace, alla sua stramba famigliola neppure. Che altro potrei aggiungere, io che per anni l’ho semplicemente doppiata, lasciandola libera di realizzare se stessa? Non so dire, infine, se ci sia bisogno di più Marge Simpson, nell’Italia di oggi: quel che è certo è che ci sarebbe bisogno di rispetto reciproco, di una tolleranza autentica che sia intollerante verso l’intolleranza, di fedi mature e aperte al dialogo, di pensatori e politici consapevoli della propria sfera di influenza e responsabilità.
Non riusciremmo mai a pensare ad una Marge con un’altra voce. Com’è attualmente la situazione con la Fox? È definitivo l’abbandono dei Simpson da parte sua e di Ilaria Stagni alias Bart?
Di fronte a quest’ultima richiesta mi sento incline all’antica formula del “no comment”. Respingo elegantemente la tentazione, scegliendo la scappatoia del “sarò breve”. La situazione con Fox e Mediaset non è limpida: ci sono stati malintesi e silenzi. A quanto mi risulta, si sta già provvedendo ai nuovi provini per sostituire la voce di Ilaria e la mia.
Non è vero che io abbia “abbandonato” Marge, Patty e Selma: in realtà è stato necessario che le lasciassi, e non per mancanza di affetto, o per noia, ma per salvaguardare la mia dignità professionale e la stima a cui ritengo di aver diritto come Persona. Inoltre, con questo gesto di rinuncia, ho voluto difendere la categoria dei doppiatori, figure di importante rilievo artistico – se è vero che parola e voce servono a rendere riconoscibile il timbro e il ritmo di ogni singolo personaggio, permettendo al pubblico di identificarlo in ogni situazione, anche al di fuori del contesto abituale, amandolo nei suoi pregi e soprattutto nei suoi difetti. Se poi volete saperne di più, non è a me che dovete rivolgere questa domanda.