Tutti i trucchi per creare più valore per l’impresa
Non è sufficiente incassare un alto irr. l’azienda deve crescere davvero.
Cruciale come la performance economica dell’azienda è l’introduzione di metodi di miglioramento della gestione e di unavera corporate governance.
È possibile codificare i termini di un’esperienza di successo quando si parla di un’operazione di private equity? A essere venali, la risposta sarebbe banalmente sì: basta guardare all’Irr.
Se le percentuali di rendimento stanno nel quartile più altorispetto al mercato, non c’è dubbio che il fondo ha fatto il suo lavoro per i suoi investitori. Quanto al fatto che abbia fatto anche
il bene dell’azienda, però, non è detto…
È per questo che l’Aifi, l’associazione che riunisce gli investitori italiani in capitali di rischio, ed Ernst&Young hanno deciso di far compilare un questionario molto dettagliato, che va oltre all’Irr
incassato dal fondo, a tutti i fondi che avessero voluto partecipare al premio Claudio Demattè Private equity of the year 2004 da loro promosso e poi consegnato ai vincitori Cape-Natexis,Apax partners e Abn Amro, lo scorso 4 novembre.
L’idea, infatti, ha spiegato a MF Pe Franco Carlo Papa xx di Ernst&Young, era quella di mettere dei paletti, in modo tale da selezionare delle candidature che rispettassero tutte il criterio
base di portare un contributo effettivo all’azienda partecipata in termini di creazione di valore e cioè di crescita occupazionale, miglioramento della gestione, managerializzazione delle risorse
umane, corporate governance e così via’.
Abbiamo strutturato la scheda di adesione come una sorta di check-list’, ha detto ancora Papa. È ovvio, però, che a differenza del dato quantitativo dell’Irr, il calcolo della creazione di valore
definita in base ai criteri appena descritti non è certo banale.
Le candidature presentate per il premio, che quindi rispondevano ai requisiti del regolamento, sono state 13, distinte tra categoria expansion (6), buy out (5) e big buy out (2). Mentre nessuna
candidatura è stata presentata per la categoria dell’early stage, peraltro in linea con le attese, visto che come sottolineato da MF Pe dello scorso 12 ottobre, il venture capital in Italia continua a
languire.
In ogni caso, ha riassunto per MF Pe il direttore generale dell’Aifi Anna Gervasoni, sul fronte del miglioramento della gestione, il 77% delle imprese partecipate dai fondi che hanno sottoposto la
loro candidatura ha adottato nuove certificazioni di qualità, realizzando investimenti destinati alle problematiche ambientali e di sicurezza. Nell’85% dei casi l’operatore di private equity ha
favorito l’inserimento di manager esterni e l’introduzione di programmi di incentivazione, contribuendo a incrementare anche la spesa per la formazione del personale. Infine, e con
riferimento alla corporate governance, si segnala che sono stati inseriti consiglieri non esecutivi e indipendenti nei consigli di amministrazione della quasi totalità delle imprese del campione,
si è provveduto alla certificazione dei bilanci solo dopo l’ingresso dell’investitore, al miglioramento dell’informativa societaria e della trasparenza nei confronti degli stakeholder’. Tutte
innovazioni, queste, che si sono tradotte in vantaggi per le aziende partecipate, soprattutto, evidentemente, per quelle partecipate dai fondi dichiarati vincitori dalla giuria.
Apax premiato per il big buyout Azimut.
Il colosso paneuropeo del private equity guidato in Italia da Giancarlo Aliberti ha vinto il
premio per la categoria big buyout. I termini del deal sono ben noti, visto che l’uscita di Apax dal capitale della rete indipendente di gestori e promotori è avvenuta con lo sbarco a
piazza Affari lo scorso luglio a 4 euro per azione, nella parte bassa della forchetta fissata fra i 4 e i 5 euro. Un prezzo che peraltro successivamente il titolo Azimut non è più riuscito a
eguagliare, restando in questi ultimi mesi sempre attorno a 3,66 euro.
Ciò non toglie che l’intervento del fondo di private equity nella società sia stato determinante nello sviluppo della società.
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