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Mi è capitato tra le mani il testo che raccoglie le lezioni inedite di Drucker ed è stato unospunto di riflessioni che voglio condividere:Già alla fine degli anni 60 Drucker mette in evidenza quanto la responsabilità delle azionidi una qualsiasi grande organizzazione che operi nel contesto economico o sociale, nelperseguimento degli obiettivi che si è assegnata, non sia un concetto astratto e indefinito,ma sia in capo ad un dirigente che è puntualmente identificabile; ne deriva che leperformance di quei grandi gruppi industriali o delle grandi organizzazioni, che negli StatiUniti prima che in Italia hanno iniziato a far sentire la loro presenza, erano unaconseguenza delle decisioni e della gestione di singoli dirigenti.Affascinato da queste realtà che caratterizzavano i nuovi tempi (stiamo parlando degli anniSessanta) Drucker ha iniziato ad occuparsi del problema della performance dei gruppimanageriali e non l’ha più abbandonato.Abbiamo già parlato in questa sede anni fa dei knowledge workers come Drucker lidefinisce: i “lavoratori della conoscenza” –quelli che fanno lavorare il cervello- perdistinguerli dai “lavoratori delle braccia” –quelli che fanno lavorare i muscoli. Ecco lagrande novità che irrompe sullo scenario aziendale e sociale con gli anni 60: fino a qualcheanno prima la grande industria produttiva era riuscita a rendere misurabile qualsiasiperformance al proprio interno e quindi ad ottimizzare processi, rendimenti e costi: tuttostava dentro ad una griglia definita, quantificabile, “contabile”.Con gli anni 60 ci siamo trovati per la prima volta faccia a faccia con problematichecomplesse che richiedevano, per essere risolte e superate, competenze nuove: non solocompetenze tecniche ma qualcosa che ancora rimaneva fumoso, indefinito; erano evidentile differenze tra un’organizzazione funzionante e una che barcollava, ma non si riuscivaancora ad identificare il comune denominatore del successo che rimaneva, quindi, nonreplicabile.Sembra incredibile quanto un elemento tanto importante per la produttività rimanga atutt’oggi ancora in buona parte oscuro: anche Drucker, consulente e ispiratore di milioni dimanager e leader nel mondo (è considerato a livello mondiale il più grande pensatore dimanagement di tutti i tempi), termina la lunga parabola della sua esistenza con questoquesito ancora totalmente aperto: come si misura la performance manageriale?Come consulente incontro aziende e titolari di azienda quotidianamente e non c’è giorno incui non mi vengano sottoposti quesiti riguardanti le performance dell’azienda o dei singolicollaboratori. Il quesito però è solo parziale: gli strumenti infatti per la quantificazione delprofitto o del guadagno che questo o quel collaboratore sono in grado di generare perl’azienda, la misurazione dello scostamento dei loro risultati da quelli attesi sono ormaifacilmente monitorabili e quindi correggibili e questo spesso da un nuovo senso disicurezza al management che torna a vacillare nel momento in cui però, e quel momentoprima o poi arriva per tutti, questo viene messo di fronte alle sue responsabilità dimanager: rendere produttivo il collaboratore.Come si può allora valutare performante la prestazione di un manager? Ad una primaanalisi le caratteristiche che deve aver maturato sembrano essere, tanto più nella realtàitaliana costituita prevalentemente da un tessuto produttivo di piccole e medie aziende agestione praticamente familiare, quelle dell’imprenditore: rapidità nella decisione enell’esecuzione, capacità di vision, intuito, senso strategico, forte determinazione.Eppure ogni giorno incontro imprenditori capaci e lungimiranti, che hanno un fiuto per ilbusiness innato, che nella gestione dei collaboratori sembrano uno splendentetransatlantico che si arena nelle acque basse.Negli anni Settanta Drucker diceva che il manager “dovrà imparare tutto da sé, perché gliaccademici non gli daranno aiuto”. Nella quotidianità ci si accorge quanto in effettil’università non riesca a dare contributi sostanziali alla creazione di cultura manageriale:dal colloquio con il neo laureato e pluri-masterizzato che sente come un dirittol’inquadramento da dirigente e lo stipendio di giada, al corso del solito formatore d’aulache ha messo insieme qualche elemento di PNL e pensa di poter risolvere i problemi digestione del personale con una bella giornata di formazione a pioggia.La realtà è che le competenze necessarie per far sì che un gran numero di persone,ciascuna delle quali svolge una mansione differente, lavori in maniera coordinata, sononumerose, specifiche e complesse e riguardano solo in parte ed in maniera minoritaria leabilità che esercita tutti i giorni l’imprenditore quando si confronta con il mercato o con isuoi stakeholder.Oggi lavoriamo e ci confrontiamo con una forza lavoro che non solo ha una composizionediversa da quella del passato: ha un titolo di studio di scuola superiore e spesso anche dipiù. Questi giovani che si buttano nell’agone hanno imparato moltissimo ma, e questoconta più di tutto, hanno mutato le loro aspettative.Cito testualmente Drucker perché è illuminante:“in primo luogo, si aspettano che il management sia razionale. Si aspettano che icomportamenti del management siano quelli che hanno appreso a scuola. Ora, sia io chevoi sappiamo che questa è una pura e semplice illusione. Tuttavia, essi si aspettano che cisia un metodo per prendere le decisioni -che non ci si limiti a dire loro “fate così perché velo dico io”. Si aspettano che ci sia un ragionamento, che ci sia qualche motivazione in ciòche fa il management. Si aspettano tutto ciò e, perbacco, lo otterranno. Perché vi prego dinon scordarvi che vivranno ancora quando noi non ci saremo più. Si aspettano che ciò chehanno imparato venga messo i pratica. Si aspettano di dare il loro contributo e diguadagnarsi da vivere. Hanno creduto sinceramente a tutto ciò che abbiamo predicato; puòanche essere sciocco da parte loro, ma i giovani credono fermamente a ciò che i genitori egli insegnanti dicono. E noi abbiamo detto loro di aspettarsi razionalità dal management.Abbiamo detto di prepararsi a sfide impegnative. Abbiamo detto di aspettarsicomportamenti responsabili. E loro si aspettano tutto ciò. Soprattutto, dovremo impararea mettere all’opera queste energie straordinarie. Francamente non riesco ancora a vedereun posto dove tutto ciò possa essere messo in pratica. Però credo che abbiamo il dovere,innanzitutto verso noi stessi, di impegnarci in tale direzione.”Forse non esiste ancora la griglia perfetta dove inserire i dati di rendimento del managerper valutarne le prestazioni, ma certamente partendo da ciò che i nostri collaboratori siaspettano da noi, dal contributo che vogliono e sono disposti a dare per riuscire, possiamodisegnare un percorso da seguire, uno scenario auspicabile che dobbiamo dipingere giornodopo giorno, con la consapevolezza che la responsabilità della risposta sta sempre in chipone la domanda.
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