La leva manageriale per far crescere e competere le piccole aziende
Fino a non molto tempo fa andava per la maggiore la tesi che la globalizzazione del mercato avrebbe messo fine all’impresa familiare e travolto addirittura le PMI, tipica espressione del nostro tessuto industriale. Molti sembravano i motivi: la perpetuazione di un assetto proprietario monocratico, a scapito dell’efficienza e della dinamicità, una riluttanza all’innovazione del vertice, poca capacità competitiva, forme paternalistiche nelle relazioni con i dipendenti. A dispetto di tutto ciò, però, il capitalismo familiare, dove una famiglia mantiene il controllo totale del capitale o una sua porzione così vasta da segnarne la rotta,continua ad essere vivo e vegeto anche nelle economie più avanzate e non mostra certo segni di cedimento e in Italia è la forma più importante in ambito PMI. Investire in marketing e comunicazione, in internazionalizzazione di impresa, in personale: queste le aree che molte di queste aziende stanno potenziando per difendersi e tentare di resistere alla competizione, spesso spietata, che esiste attualmente nel mercato globale. Negli ultimi anni si è sentito molto parlare di aumento dei livelli di managerialità nelle PMI. Si è predicata la necessità di aprire le porte a manager e professionisti capaci di accelerare la crescita e la competitività delle stesse. Tuttavia, la nostra esperienza e i dati più recenti, dimostrano che l’integrazione tra piccole e medie imprese e manager e cultura manageriale sono una bella teoria di scuola di direzione aziendale o master, ma nella pratica non funziona. Questa grave carenza di presenza e cultura manageriale sono anche il motivo principale della scarsa competitività delle nostre PMI. Ancora oggi, secondo recenti ricerche della SDA Bocconi, la componente proprietaria-familiare presidia le posizioni al Top e tiene saldamente in mano le poltrone di presidente e Amministratore Delegato dell’ azienda, mentre risulta meno presente nei ruoli tecnici. Al dunque, quando le imprese familiari crescono e cominciano a confrontarsi con mercati complessi, le performance aziendali cominciano a peggiorare. Roe e Roi crollano, dice la ricerca di SDA Bocconi e questo perché è difficile usare in maniera corretta strumenti sofisticati di programmazione e controllo. La famiglia in questo caso si mostra inadeguata. Infatti, un’impresa familiare, poiché principale fonte di reddito per i suoi titolari, è portata, per sua natura, a privilegiare con ogni forza il proprio mantenimento in vita, agendo secondo culture e strategie aziendali intese ad assicurare la stabilità di fronte alle incertezze e alle diverse congiunture del mercato. Certo, non è comunque detto che questi elementi portino direttamente a vantaggi economici e di stabilità perché, proprio essi, possono alle volte trasformarsi in fattori di criticità. La continuità dell’impresa familiare dipende infatti dalla forza e dalla validità della transazione tra generazioni e questo passaggio è molto spesso il fattore più difficoltoso nella vita di un’impresa; inoltre poi le decisioni di chi ha in mano la proprietà dell’azienda, se da un lato sono più veloci e agili, dall’altra parte non hanno il supporto di determinate competenze che hanno invece quelle che vengono assunte in aziende con una leadership manageriale. Infine, il finanziamento prevalente con fondi propri, rappresenta in molti casi un vincolo alla crescita dimensionale dell’impresa. , contribuendo a rafforzare forme di resistenza a cambiamenti di prospettiva. Le diverse tipologie di proprietà di impresa ed il livello di educazione del management e della forza lavoro sono fra i fattori determinanti della qualità del management.
Secondo una ricerca condotta dalla London School of Economics,la proprietà familiare – soprattutto se accompagnata dalla pratica di trasmettere la carica di amministratore delegato a figli o parenti – è associata a pratiche manageriali particolarmente scadenti. Questo risultato potrebbe essere di estrema importanza per l’Europa, dal momento che circa il 10% delle imprese manifatturiere nel Regno Unito, Francia, Italia, Portogallo e Grecia sono a conduzione familiare e scelgono l’amministratore delegato in base al criterio della primogenitura. In confronto, negli Stati Uniti solo il 2% delle imprese intervistate è di proprietà familiare e con CEO scelto sulla base della parentela..Anche l’educazione della forza lavoro (managers e non) sembra avere un ruolo decisivo per il management. Per esempio, l’84% dei managers ed il 25% dei non managers delle imprese migliori hanno un livello di educazione pari o superiore alla laurea. Fra le imprese peggiori, solo il 54% dei managers ed il 5% del resto dei dipendenti hanno la laurea. Ma come mai ci troviamo in questa situazione? E’ un problema economico? I Manager costano troppo? Penso che piuttosto che un problema economico ci troviamo di fronte ad un ostacolo di natura culturale. Un manager di una piccola azienda non arriva a percepire più di 100 mila euro lordi l’ anno. In più sono tante le società di consulenza, come la nostra, che offrono manager e managerialità con la formula dell’ “outsourcing” e a costi contenuti. Nonostante ciò molte aziende preferiscono fare tutto in ” famiglia”. Certo la gestione familiare sveltisce i processi decisionali, come abbiamo già affermato, ma non permette un contraddittorio tra le diverse alternative possibili. Tale gestione non può che penalizzare quelle aree aziendali che, più di altre, richiedono esperti qualificati: l’area marketing , quella commerciale e l’area export. Basti pensare che solo il 30% delle imprese che esporta all’estero ha dei manager nel proprio organico dedicati interamente a questo tipo di attività; solo il 30% di quelle che praticano strategie di innovazione ha un manager che ne segue il processo. Il risultato non può che essere scontato: nonostante l’ottima qualità delle produzioni “made in Italy”, le vendite continuano a non segnare performance eccezionalmente positive.Un altro dato interessante riguarda l’organizzazione aziendale. Poche sono le piccole aziende che stanno investendo per ottimizzare le proprie risorse e rendere più efficienti i propri organici. Pochissime sono le aziende orientate alla ricerca dei “talenti” e alla formazione di figure che potrebbero apportare novità e aiutare a realizzare performance fuori dal comune.Il manager moderno, seconda l’ accezione di Hamel, potrebbe apportare all’ impresa familiare e alle nostre PMI, competenza e conoscenza del mondo industriale, un’organizzazione del lavoro più efficiente e, accollandosi la gestione operativa dell’azienda, lasciare ai titolari più tempo da dedicare allo sviluppo strategico del business.
Nel libro “The future of management”, Hamel descrive le nuove strade dell’innovazione manageriale che potrebbe aiutare anche la crescita delle nostre PMI: la mobilitazione delle persone, l’allocazione delle risorse e la formulazione delle strategie. Hamel afferma che Il lavoro del manager, non è sostanzialmente cambiato dalla descrizione che Henry Fayol ne fece nel 1917. Riguarda le attività di pianificazione, organizzazione, comando, coordinamento e controllo.
Da allora però sono cambiati gli obiettivi, il contesto, le relazioni e le teorie manageriali suggeriscono che la pratica comprende il definire e programmare obiettivi, il motivare e allineare gli sforzi, il coordinare e controllare le attività, lo sviluppare e attribuire le competenze, l’aumentare e mettere in pratica la conoscenza, l’accumulare e allocare le risorse, il costruire e alimentare le relazioni, l’equilibrare e riunire le domande degli stakeholder.
L’innovazione manageriale consiste nel creare valore, cambiando le strutture e i ruoli organizzativi e nel connettere business unit, settori, gruppi di lavoro e comunità di pratiche con alleanze di fornitori, partner e clienti chiave.
Occorre uscire dalla routine quotidiana e incominciare a criticare i dogmi indiscussi.
Hamel crede nell’importanza dell’orientamento al rischio dei decision maker ed è portato a spingere su questa strada, indipendentemente dalla storia e dalle prospettive aziendali, che possono comportare difficoltà di cambiamento.
A mio parere, questa situazione può essere modificata, incoraggiando l’adozione di pratiche manageriali efficienti, lavorando soprattutto per favorire un migliore orientamento culturale. Inoltre, mercati concorrenziali e mercati del lavoro flessibili sono inevitabilmente fortemente associate a migliori pratiche manageriali, così come il livello di educazione della forza lavoro. Interventi atti a migliorare questi aspetti, anche da parte di chi ci governa, attraverso politiche incentivanti, saranno decisivi nel processo di trasformazione che i nostri piccoli imprenditori devono seguire se vogliono conservare o migliorare la loro competitività sui mercati globali.