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La macroeconomia, cioè la scienza che studia il governo dell’economia di un Paese, ha subito negli ultimi 40 anni una forte evoluzione che ha condotto ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti: le varie crisi susseguitesi a livello globale, in gran parte, tuttora irrisolte.Fino ai primi anni ’70, cioè fino alla crisi energetica del 1973, la gestione economica di un Paese era affidata, sostanzialmente, ai dettami del grande economista inglese John Maynard Keynes che prevedeva un forte intervento del settore pubblico a sostegno del sistema economico.A partire dal 1973, anno in cui si registrò la contemporanea presenza di inflazione e disoccupazione, la dottrina keynesiana venne progressivamente abbandonata a favore di altre dottrine quali quella monetarista e la sintesi neoclassica.Punto forte di tale ultimo approccio teorico è la supposta esistenza di una condizione di equilibrio naturale, rappresentato da un “livello naturale dei prezzi”, verso cui può tendersi, a lungo termine, semplicemente “rimuovendo gli ostacoli” che si frappongono al suo raggiungimento: principalmente i diritti dei lavoratori, il sistema di protezione sociale, l’influenza dello Stato e così via … Da cui l’esigenza di “riforme strutturali” volte ad accelerare il raggiungimento di quell’equilibrio naturale.In questo articolo, qui pubblicato, partendo dalle conclusioni dell’analisi economica del grande economista italiano Piero Sraffa, si analizza il modello comportamentale del consumatore, sia dal punto di vista individuale che aggregato fino a pervenire alla necessità di un approccio di stampo keynesiano.Sraffa, infatti, sosteneva che i prezzi sono una diretta conseguenza del sistema produttivo e, come tali, si presentano al consumatore come un dato di fatto; se nel modello comportamentale del consumatore, oltre all’utilità di acquisto dei prodotti consideriamo i prezzi fissi, o comunque poco variabili, e consideriamo anche l’utilità del capitale (o reddito) posseduto in chiave di “aspettativa per il futuro” si ottengono risultati fortemente divergenti dall’analisi del marginalismo neoclassico.Innanzitutto, l’equilibrio supposto tra domanda e offerta può non verificarsi per il manifestarsi della preferenza per la liquidità (trappola della liquidità) senza che tale liquidità abbia un corrispondente in investimenti produttivi; in tale condizione l’insieme degli individui, anche per l’azione non cooperativa tra essi, preferisce conservare una quota di quanto possiede in termini di liquidità piuttosto che consumarlo per intero, ma la riduzione del consumo vanifica lo scopo del processo produttivo che, per cicli successivi, tende ad essere disinvestito.Si giunge così a dover, necessariamente, introdurre un modello di gestione del sistema economico di tipo keynesiano, in quanto, l’unica figura cooperativa, normativa e impositiva possibile, cioè lo Stato, è in grado di introdurre quel termine aggiuntivo al sistema economico, la spesa pubblica, che aumenta la propensione al consumo (abbassando l’utilità percepita del capitale) e riavvia il sistema economico.L’articolo citato, dal titolo Da Sraffa a Keynes – oltrepassando il marginalismo neoclassico, impiega strumenti di analisi matematica, che sono congeniali alla concezione marginalista neoclassica e che gli conferiscono un aspetto di scientismo, ma in esso si pervengono ai risultati del tutto diversi che sono stati sopra descritti.
Tags: consumo, economia, Keynes, marginalismo, neoclassici, produzione, spesa pubblica, Sraffa, utilitĂ marginale
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