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Sintomi e terapia della sindrome di Turner

Fra le malattie rare descritte fino ad oggi dalla scienza medica, la sindrome di Turner ha un’incidenza ritenuta fra le più considerevoli: circa una paziente ogni 2000 nate vive, una percentuale che secondo i parametri della legislazione italiana è considerata requisito minimo per sancire l’appartanenza di una patologia al gruppo di malattie rare, la cui prevalenza minima è per l’appunto lo 0,5%, ossia un individuo su duemila.
Una simile cadenza l’ha resa particolarmente esposta alle attenzioni dei ricercatori, che dall’anno della sua scoperta avvenuta nel 1938, hanno fatto del proprio meglio per offrire alle donne “Turner” una prospettiva di vita non dissimile da quella media.
Si parla di donne Turner e non di uomini Turner perché la sindrome è prerogativa esclusiva del sesso femminile: un uomo non può ammalarsi di sindrome di Turner poiché alla sua origine c’è un difetto congenito del cromosoma X, il cromosoma sessuale tipico del sesso femminile. Il male ha dunque una matrice genetica, riscontrata nell’assenza del suddetto cromosoma in tutti i soggetti che in fase embrionale sono vittime della sindrome, per motivi sfortunatamente ad oggi ancora ignoti.
La diagnosi prenatale è certamente più ostica della diagnosi nella prima infanzia o in pubertà. Essa può avvenire solamente mediante il prelievo di liquido amniotico dalla madre, prescritta sull’osservazione di difetti minimi nelle radiografie del feto.
Nell’infanzia i sintomi che più spiccano all’occhio sono la bassa statura e l’ampiezza della cassa toracica. L’altezza delle bambine con sindrome di Turner subisce un brusco rallentamento all’età di tre anni, da lì in poi, per tutto l’arco della vita, essa progredirà fino ad un massimo di un metro e 45 per poi arrestarsi definitivamente.
Con il passare degli anni, nelle bambine potrebbero divenire sempre più evidenti altri difetti fisici, come la fronte stretta, sovrastata da un’attaccatura dei capelli bassa, il collo corto e con pelle palmata. Psicologicamente molte bambine con sindrome di Turner lamentano difficoltà nell’integrazione scolastica e nello studio. Non perché scarsamente intelligenti – è stato dimostrato che la sindrome di Turner non produce effetti negativi sulle capacità cognitive – ma per l’eccessiva timidezza, i cali dell’attenzione e un’avversione all’integrazione con i coetanei.
Non si tratta di elementi comuni a tutte le Turner, ma la casistica evidenzia come tali tendenze siano più frequenti in questi soggetti.
Tuttavia è con la pubertà che i sintomi della sindrome di Turner si palesano in maniera più marcata e non trascurabile. Siamo in un’età nella quale emergono alcuni fra i più significativi tratti dell’idendità sessuale del soggetto. Nel caso delle ragazze si assiste alla comparsa dei primi cicli mestruali e allo sviluppo delle forme distintive dell’età edulta. La sindrome di Turner ostacola la naturale trasformazione del corpo, determinando amenorrea e assenza di seno. A fronte di questi ulteriori sintomi, accompagnati da bassa statura, buona parte dei genitori sentono l’esigenza di richiedere informazioni e si rivolgono ad un pediatra endocrinologo. La diagnosi potrebbe essere quella di sindrome di Turner. L’apice della sintomatologia è la sterilità: salvo rarissime eccezioni, tutte le ragazze con la sindrome di Turner sono sterili. Probabilmente è il colpo più duro da digerire per un’adolescente cui è stata diagnosticata la propria fonte di “diversità”. Compito dei genitori allora diventa quello di supportare la paziente, sia psicologicamente che con le dovute cure mediche. La bassa statura e l’amenorrea sono oggi curabili grazie alle terapie a base di due ormoni: quello della crescita e quello femminile. Entrambe le cure hanno ottime percentuali di successo, nella maggior parte degli episodi sono stati riportati un aumento della statura fino a 10 centimetri e la comparsa dei principali caratteri femminili.
La sterilità resta ad oggi uno dei principali talloni d’Achille di tutte le terapie di supporto. Gli ormoni femminili hanno introdotto importanti progressi nella lotta contro l’amenorrea e nella stimolazione dei tratti sessuali, ma non inducono ovulazione. La fecondazione in vitro e l’adozione sembrano gli unici palliativi per ovviare a un problema che per il momento non appare di semplice risoluzione.

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