La guerra dell’acqua in Palestina
Secondo uno studio condotto da vari organismi internazionali, israeliani e palestinesi, vi è una sproporzione altissima tra il consumo medio di acqua per un cittadino di Israele e un palestinese che vive in Cisgiordania e soprattutto nella striscia di Gaza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la quantità minima d’acqua necessaria pro capite, per usi personali e domestici, è di 100 litri per giorno. In Cisgiordania il consumo medio è di soli 66 litri, da cui và detratto quanto si usa per il bestiame, mentre nella Striscia di Gaza non sono presenti statistiche. Attualmente a Nablus e Hebron, i palestinesi hanno a disposizione poco più di 50 litri al giorno, a Jenin 38 litri, a Tubas 30.
In Israele il consumo di acqua per abitante si aggira intorno ai 220 litri al giorno, che arriva ai 330 litri se si conta anche l’acqua per uso industriale. Tre volte quello che hanno a disposizione i Palestinesi, e in condizioni di vita migliori.
Certamente il fattore “acqua” non è la causa scatenante del conflitto ma sicuramente è una conseguenza e una causa nello stesso tempo. Israele è riuscita ad aumentare le proprie risorse idriche grazie alla Guerra dei Sei giorni ed è stato fondamentale in questo senso la conquista delle alture del Golan sottratte alla Siria. Terra e risorse sono indissolubilmente legate in questo guerra, e il mantenere discriminazioni in questo senso con i palestinesi allontana irreversibilmente la possibilità di risolvere il conflitto con la creazione di due Stati per due popoli.
Le colonie israeliane insediate in Cisgiordania, che ha moltissima acqua nel sottosuolo, mirano proprio al controllo delle sorgenti idriche e la loro locazione rispecchia proprio questo progetto. Non stupirà infatti che se in Israele l’acqua è gestita dal Ministero dell’Agricoltura, in Palestina è sotto controllo del Ministero della Difesa!! Inoltre bisogna anche tener conto delle politiche assolutamente discriminatorie e talvolta razziste che vengono portate avanti nei confronti della popolazione palestinese sulla possibilità di avere un auto-sufficienza idrica. Le autorità militari hanno permesso solo lo sviluppo di infrastrutture secondarie per la canalizzazione e lo stoccaggio che sono state poi fatto oggetto di bombardamenti in più occasioni soprattutto a Gaza, e hanno impedito la costruzione di nuovi impianti idrici senza un preventivo permesso dell’autorità militare israeliana.
In questo senso è utile capire quanto sia fondamentale per la sopravvivenza di uno stato ebraico circondato da nazioni arabe ostili il controllo dell’acqua e la propria autosufficienza nelle risorse. Tecnicamente, per la sopravvivenza di uno stato in conflitto il ragionamento della governance israeliana non fa una piega e l’orientare le politiche di guerra in questa ottica nemmeno, però resta da capire una cosa.
Non sarebbe meglio cominciare a parlare di “occupazione” invece di continuare a definirlo “conflitto”?
(Fonti infopal.it)